BERSAGLIO NOTTURNO di Ricardo Piglia









Come poteva andare a finire?

Poteva finire, ecco come poteva.



Ci sono, sono vivo e scrivente, il che potrebbe per molti me in primis non essere una consolazione ma un abuso, di tempo e di spazio.

Ho iniziato a leggere il ventiduesimo libro esattamente 19 giorni fa, avrei dovuto pubblicare la sua recensione sette giorni dopo, dai facciamo otto perché mi volevo riposare…

Ho finito di leggere questo romanzo ieri sera. Appena chiuso l’ultimo capitolo, e voltato il libro sul dorso ho proprio pensato che non avevo mai faticato così tanto a leggere.

Intendiamoci, la fatica, quella vera, quella che imperla la fronte e fa bruciare muscoli e polmoni è ben altra cosa, leggere invece un libro che non ti piace non ti cattura non ti ammicca mai, neanche per un istante, è spossante.
Lo guardi li sul comodino inerme nel suo involucro di cellulosa e inchiostro e pensi che non gli faresti un torto così grave ignorandolo per l’eternità. Non ho letto un romanzo di formazione o una rilettura in chiave futurista di un classico della letteratura paleocristiana (ammesso che esista un’opera di tale bruttezza).

No, era semplicemente un romanzo “giallo” ambientato nella pampa argentina, con un contesto socio politico delicato come solo gli anni 70 per il mondo in generale lo sono stati.

Un commissario burbero e malconcio con delle visioni che lo portavano vicino alla soluzione del caso ma lontano dalla realtà delle cose, delle intuizioni filosofiche, ecco questo era il Commissario Croce, uomo rispettato dal paese ma inviso al potere costituito.

Un brillante quanto affascinante mulatto americano, che agli occhi dei cittadini del paese non era nient’altro che un negro. Tony Duran, simpatico, spigliato, che suscitava invidia per le sue conoscenze altolocate e per le due gemelle Belladonna alle quali spesso si accompagnava agli eventi mondani suscitando maldicenze e qualche rancore, non del tutto infondate.

Un vecchio e granitico proprietario terriero, il Vecchio Belladonna, che era legato alla terra, al suo paese, perché lo reputava come una proprietà privata avendolo praticamente fondato quando emigrò dall’ Italia e più precisamente da Torino dopo aver combattuto per l’esercito nella prima guerra mondiale ed aver ottenuto importanti onorificenze.

Le Gemelle Belladonna, Ada e Sofia, così simili, così spigliate così sognatrici di una vita di lusso e eccessi che non si sono mai preoccupate delle conseguenze e delle voci sul loro conto, perché quando si è ricchi e si vuol vivere da ricchi non si deve risultare simpatici, ma semplicemente un gradino sopra agli altri, comunque.

Il figlio del Vecchio Belladonna, Luca, triste e solitario rinchiuso nella sua fabbrica, nella sua officina meccanica che anni addietro dava lavoro ai Gaucho di paese ma che pur di salvarla dagli interessi di gruppi di investimento internazionali si era voluto accollare il peso di mantenerla in piedi circondato da pochi fedeli e indebitando se stesso e i suoi sogni fino a farli diventare una ossessione.

È un thriller, c’è un omicidio e il tentativo di risolverlo, ma tutto prende una piega decisamente obliqua, in cui sono le storie di questi personaggi ad intrecciarsi in un modo talvolta complicato e che una scrittura ricca, oltre l’eccesso, e discontinua portano ad un affaticamento e ad una scarsa empatia col libro in sé.

Certo c’è qualche cosa che si “salva” ad esempio il sig Renzi, giornalista, inviato per il giornale di Buenos Aires arrivato nella triste e immensa pampa Argentina a raccontare attraverso le sue parole i fatti sull’efferato omicidio avvenuto nella tranquillità rurale di campagna.
Renzi segue i deliri del commissario Croce, si appassiona alla storia alle vicende centrifughe del paese e rimane anche egli incastrato in questi giochi di potere dove i segreti e le rivalità di una famiglia influiscono per sempre sulla vita delle persone che anche solo ne lambiscono i confini.

Qualcuno ha definito Ricardo Piglia il Faulkner del Sud America. Permettetmi, se Faulkner ha scritto luce d’Agosto ecco Piglia ha scritto allora Il Buio di Novembre.

Un romanzo in definitiva, fumoso e pretestuoso, avvincente a tratti, ma che mai ha avuto la forza di tenermi concentrato.
Certo lo stato d’animo con cui si affronta una lettura influisce sempre sul piacere della lettura stessa, ammetto per dovere di cronaca che se dovessi definire il mio sentire nel mentre leggevo Bersaglio Notturno di Ricardo Piglia la parola più ricorrente sarebbe Deluso.
Detto questo, il libro ha un grande pregio, una copertina che invoglia e incuriosisce.
Ma volendo essere superficiale, e voglio, potrei chiudere questa recensione con un semplice e scontato modo di dire:


L’abito non fa il monaco.


Recensione Sensoriale


Vista: Un montacarichi


Tatto: Scheggia di legno

Gusto: Bile

Olfatto: Pelle sudata


Voglie Impulsive


Cambiare libro

Cambiare lavoro

Cambiare vita

Peso in Valigia: 285 Grammi

Investimento: 16€

Editore: Feltrinelli

LA REGOLA DELL' EQUILIBRIO di Gianrico Carofiglio

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"Hai mai fatto a cazzotti?"

"Dipende, con una persona o con i pensieri"


Ci sono due modi per fare a pugni: la prima prevede l'uso dei guantoni e quello che procurano sono tuttalpiù dei lividi, la seconda invece è con le parole e quello che lasciano sono ferite che non si rimarginano.

Dovevo leggere un altro libro, in realtà l'avevo già iniziato: Bersaglio Notturno di Ricardo Piglia un romanzo giallo ambientato a Buenos Aires, solo che come spesso accade non smetto mai di sfogliare i libri che mi capitano sotto mano. 
Così domenica all'ora di pranzo mentre mio padre si apprestava ad imbandire la tavola ed io cazzeggiavo stancamente tra i libri di casa dei miei genitori, la mia attenzione si posa su un titolo che sembra contenere, neanche a farlo apposta, la formula pratica a risolvere questo particolare momento della mia esistenza: La Regola dell' Equilibrio.

Giusto il tempo di sentire la fatidica frase "È pronto!" che chiudo il libro e segno la pagina a cui ero arrivato: Pagina 50.

Come pagina 50? Controllo che il libro non avesse una prefazione che ho saltato o qualsiasi altra cosa che potesse spiegare come in mezz'ora, il tempo trascorso tra la presa del libro e il richiamo ai doveri mandibolari, abbia potuto leggere così tante pagine.
In definitiva è facile dedurre che il libro mi ha preso, già nella giornata di Domenica l'avevo praticamente finito, mi sono giusto lasciato l'ultimo capitolo da leggere come compagnia per accomodare il sonno in una stanza di albergo di una città non mia.

Gianrico Carofiglio ha tessuto una storia che si adagia su quello che sembra un tappeto musicale, che suona come un Legal Thriller, ma spesso come per trovare un equilibrio che non sarebbe possibile altrimenti, viene accompagnato da note Noir e da piccoli accenni al romanzo di formazione. Il risultato è di una musicalità quasi perfetta, i dialoghi sono pennellate di puro realismo, non c'è bisogno di descrizioni e contesti elaborati ne tanto meno di più piani narrativi. 
È un romanzo Giallo, lineare ma sbalorditivo tanto più quando pur usando dove richiesto un linguaggio tecnico giuridico riesca a comunicare semplicemente tutti gli aspetti del sentire umano, anche quelli più delicati come la vita, la morte, la moralità, l'amore e il dubbio.

La regola dell'equilibrio, mi viene quasi il sospetto che Carofiglio abbia voluto cimentarsi in un esercizio di stile, riuscendovi, facendo si che anche il lettore non possa che essere affascinato da questa ponderatezza senza che questa risulti mai banale.

Guido Guerrieri l'avvocato Barese protagonista di questa vicenda (quinta avventura della sua saga) è un uomo di mezza età, molto indipendente come modo di pensare e non vincolato e spento come un azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Il suo lavoro lo appassiona, la legge viene intesa non solo come materia di applicazione ma come momento di studio e riflessione, per aiutarsi in queste "sessioni" di pensiero preferisce indossare un paio di guantoni da boxe e sfidare Mr Sacco in una conversazione di sola andata fatta di montanti, periodi, e schivate.

Continuo a fare pugilato perchè la liturgia sempre uguale dell'allenamento mi colloca in un segmento mitico del mio tempo.

L'attività dello studio legale è serrata e l'efficienza dei suoi collaboratori è preziosa quanto la stima reciproca che si dimostrano gli uni con gli altri. L'avv. Guerrieri è bravo e lo sa, una punta di vanità lo spinge a compiacersi della sua etica, del suo equilibrio, ed è anche per questo che non può rifiutarsi di aiutare un suo ex compagno di Università che ha avuto una brillante carriera diventando Giudice a soli 24 anni e ora vede la sua reputazione a rischio per una storia dai contorni sbiaditi di una presunta corruzione.

Questa volta non basteranno le lunghe sedute con Mr Sacco o le passeggiate notturne per una Bari sonnolenta e radiosa nonostante una Estate che non vuole ancora manifestarsi e sembra essersi presa una pausa, per aiutare Guido a trovare la serenità necessaria e il giusto bilanciamento del corpo per non finire al tappeto, schiacciato da troppe paure e troppi riflessi ingannevoli.

A stringere i lacci del romanzo, per farlo calzare a perfezione sul lettore, serviva una figura femminile come Annapaola.
Una ex giornalista, dal passato burrascoso, dalle risorse infinite che gira in sella ad una moto nera e cattiva svanendo senza preavviso per intere giornate.
Per poi ripresentarsi al citofono come se nulla fosse per aiutare l'Avvocato a ritrovare la sua autostima con una cena etnica ed una bella rissa paesana, dove sfoggia rudimenti di softball liceali prendendo letteralmente a mazzate alcuni malcapitati. 


Alcuni libri sono così immediati che quasi dispiace congedarsi dai protagonisti, ma questa recensione non vuole essere un commiato, piuttosto l'ennesima riprova che

La vera unità di misura del tempo sono gli accadimenti inattesi.

È la vita, è tutta qui.


Recensione Sensoriale


Vista: Una Palestra vuota e luminosa


Tatto: Cuciture di pelle

Gusto: Curcuma

Olfatto: Pop-Corn


Voglie Impulsive


Rivedere Il Socio

Saltare la corda

Sentire suonare al citofono


Peso in valigia: N.D (sono in viaggio e non ho un bilancia appresso...amarezza.)

Investimento: Ehm rubato (a mio padre...comunque sarebbero 19€)

Editore: Einaudi


GALVESTON di Nic Pizzolatto


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And it looks like the sun

but it feels like rain.


In questo clima ogni cosa cerca l'ombra, e quindi una qualità fondamentale del Profondo Sud è che qui tutto è parzialmente nascosto.

Ed è esattamente così che questo romanzo riesce a mettersi in risalto, restando in ombra. Facendosi scoprire parzialmente, sviluppando i suoi personaggi, l'intreccio, i luoghi relegandoli in una porzione corrosiva di oscurità,
Ognuno ha le sue zone buie, antri di sè che rifuggono e rifiutano quella luce che gli altri vedono in noi.
Nic Pizzolatto è sicuramente uno scrittore con il dono della visione, le sue parole riescono a far scorrere immagini ad alta definizione, non per niente in seguito ha scritto la sceneggiatura per la HBO di True Detective, nitide fino allo sfibrarne i colori, le sensazioni, ammantando il tutto di una cappa afosa e salata.

Galveston è un luogo, un posto, a dirla tutta un rifugio per chi non ha altro che dei ricordi di una vita passata sbagliando anche in amore, ma per quanto possano essere errati, questi ricordi sono gli unici ad avere un senso e a rendere la vita ancora una "prospettiva" e non un passaggio "definitivo".
Roy Cady è un uomo del Texas Orientale, porta jeans, magliette nere, giubbotto e stivali da cowboy, l'aspetto è volutamente poco curato, capelli lunghi e barba uguale.
Non ha importanza cosa gli altri pensino di Roy, che lo vedano come un bifolco o uno poco raccomandabile, alla fin fine per il lavoro che deve fare gli fa anche comodo.
Lavorare per un boss che si occupa di vari intrallazzi, nessuno dei quali prettamente legale, porta alla necessità di dover cambiare aspetto e soprattutto luogo in poco tempo e con pochi accorgimenti, fosse anche solo il tagliarsi la barba.

Per arrivare fino a Galveston, non ci vogliono molte ore di viaggio, serve più che altro un pretesto che viene fornito da una giovane e seducente ragazza, Rocky, vittima e testimone di violenza, sbandata e incontrollabile, sgrammaticata ma fatale.
Roy è come il migliore degli assassini, è già morto; probabilmente cancro, una sottile nebbiolina che appunto mette in ombra la vita nei suoi polmoni, deve agire di istinto, per prima cosa salvarsi ma forse come una forma di espiazione dei propri peccati, provare a salvare lei e un'altra vita ancora, quella meno colpevole di tutti in questo romanzo, la piccola Tiffany sorella di Rocky.

Fuggono ma finiscono per doversi fermare, perchè l'idea di cambiare vita, di provarci almeno una volta è più forte, è più ammaliante, ma è dannatamente complicato; per chi non è abituato a fidarsi degli altri, l'unico numero che conta è dispari ed inferiore a tre.

La trama si sviluppa semplice, lineare, quasi come una palude, apparentemente placida ma sotto la cui superficie nasconde predatori letali. È la malinconia di fondo a dettare il ritmo dei dialoghi, dei pensieri che Roy in prima persona ci affida tra le pagine: è un vecchio Blues, che sai esattamente come suonerà ma non riesci a smettere di ascoltarlo.

Non crediate, se avete avuto modo di vederli, di trovarvi di fronte agli episodi di True Detective, qui la potenza dell'immagine è la parola, è il modo in cui vi farà sentire il riverbero insopportabile del sale sotto un sole incessante, di come dietro le porte di un Motel fatiscente si nascondano molte più storie rispetto agli ospiti che vi cercano "protezione".

Immagino che si debba stare molto attenti a come si usano i propri ricordi.

Ecco, quello che è questo noir è tutto qui, in queste parole.
Forse alla fine la luce avrà la meglio, oppure sarà solo un riflesso, e Roy Cady rimarrà nell'ombra solamente aspettando chi più di tutti in questa storia avrà bisogno di "prospettiva".

Ci sono un sacco di cose che non diventano mai quel che dovrebbero.


Recensione Sensoriale


Vista: L'Aurelia al Tramonto

Udito: Do You Feel Loved degli U2

Tatto: Granelli di Sale Grosso

Gusto: Zucchero filato

Olfatto: Lucida-Labbra


Voglie Impulsive


Un Rodeo

Aria umida e stantia

Una notte in un Motel a Big Sur


Peso in Valigia: 225 Grammi


Investimento: 10€


Editore: Mondadori

DIARIO DI ZONA di Luigi Chiarella (Yamunin)

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"Non Aprire, magari hanno sbagliato"

"Magari, invece, a sbagliare siamo noi..."



Diario di Zona è una lettura che mi è stata consigliata da Einaudi, un simpatico hashtag come #consigliounlibro si è rivelato fonte di ispirazione per le mie letture e dunque materiale sfogliante per #Progetto52.

Questo libro è un vero è proprio caso di serendipità, neologismo che indica la fortuna di fare scoperte che rendono felici; è ambientato a Torino, o meglio ancora le parole risiedono e vivono a Torino, il suo protagonista è un precario, genuino, combattente, un romantico contemporaneo, che vede il mondo che lo circonda per quello che è: stratificato.

È un diario, scritto e vissuto in prima persona, ogni pagina è il racconto di una Zona di Torino. Luigi è un letturista, armato di bicicletta, una divisa ad alta visibilità, palanchino cacciavite e terminale per le letture. Si avventura nelle cantine, nei tombini, nei momenti di quotidianità della città cercando di "leggere" più contatori dell'acqua possibili per poi, terminata ogni zona assegnatagli inviare i dati del consumo dell'acqua alla propria azienda.
È un lavoro, non meno nobile di altri, ma come dice il protagonista, la verità è che Il lavoro mancherà sempre di renderci liberi.

Ed è proprio per trovare un minimo di libertà, di interesse in un lavoro altrimenti monotono e faticoso che Luigi dipinge attraverso le parole l'immagine di quello che è Torino oggi.
Una città che solo vista dai margini, dalle periferie, attraverso chi la abita si rivela per quello che è; Torino è fatta a strati, è sotto se stessa. Basta scavare.

Gli incontri di Luigi sono tutt'altro che monotoni, il tessuto sociale che li abita è variopinto. Citofonare in un palazzo di una via sconosciuta e chiedere di aprire il portone per fare il proprio lavoro si può rivelare una impresa.
Ci ritroviamo tutti nei modi di fare e di dire di chi risponde al citofono, nei luoghi comuni, nei "è pieno di quelli li, che rubano, zingari marocchini" nei "no qui non c'è nessuno, io non le apro", "vatteneaffanculo cazzovuoi" , "sei furbo, fammi vedere il tesserino".
Non ci sono solo anziani, immigrati, indigeni, ci sono le realtà di vite vissute piano sullo sfondo di solitudini, di fallimenti, di un razzismo di seconda generazione e arroganza.

Certo strappano risate i dialoghi seppur simili tra loro, ogni volta così presenti nel lessico quotidiano di chi vivendo a Torino incontra per le strade; la fatica di Luigi è doppia, gli spostamenti per un anno in bici, le pedalate, il pericolo del traffico, la città che si evolve, il Tav, i nuovi fascisti del lavoro come della politica, il voler alzare i pugni al cielo e pigliarlo a cazzotti, cambiare tutto quando è proprio il tutto ad essere così soffocante così sottile come polvere che quotidianamente ci cade addosso e ci appesantisce, e per sentirsi leggeri non basta una scrollata, una potente pedalata.

È un romanzo ibrido, un non genere, un Oggetto Narrativo Non identificato (come spiega Wuming1 nella quarta di copertina) e per questo è unico, inconfondibile con uno stile secco, diretto, a tratti punk per la sua capacità di contaminazione dove musica, concetti e poesia si fondono in un unico continuo narrativo facendoci tenere il tempo quasi seguissimo una partitura.
La cosa che più mi ha colpito è che il Libro è attivo, forse perché racconta della mia città, perché simpatizzo per molte delle "lotte" che l'autore porta avanti, perché si rende omaggio alla storia e alla Resistenza, perché c'è il Grande Torino, il Filadelfia, Superga e non come credo calcistico ma come immagine ruvida e potente di grandezza e degrado.

Già la Resistenza, quella dei Partigiani, ragazzi e ragazze, uomini e donne, lavoratori e studenti che ora ci osservano passare frenetici da una strada all'altra, da un lavoro ad un altro, da una presunta libertà ad un altra, fissandoci immobili dall'alto di qualche targa cementata, sopra qualche monumento, incastonata in qualche ricordo.
La città è fatta di strade di numeri e di incroci, ma la strada, quella vera, la toponomastica della nostra esistenza è fatta dalle persone che han sacrificato se stessi per una idea, per un domani.
La vera punteggiatura di questo romanzo sono loro, sono il ricordo, e il non smettere mai di resistere quando l'ingiustizia diventa legge.

Luigi metaforicamente sta suonando al palazzo in cui tutti noi viviamo, e se volete un consiglio apritegli perché è un incontro che va vissuto.


Recensione Sensoriale


Vista: Lo schermo di un cellulare


Olfatto: Muffa

Gusto: Della fatica, del sudore

Tatto: Una maniglia ghiacciata


Voglie Impulsive


Guardare avanti

Scendere in Cantina

Voltare Pagina


Peso in Valigia: 380 Grammi

Investimento: 16€

Editore: Alegre

LA COMMEDIA UMANA di William Saroyan

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È successo veramente

Me lo stai dicendo o me lo stai chiedendo...



"Hai mai letto Carver?"

"No mai."

"E Saroyan eh? Hai mai letto Saroyan?"

"Mmm, no, non mi dice niente Saroyan."

"Ok! Ok, non importa, allora di Carver devi leggere Cattedrale,
mentre di Saroyan sicuramente La Commedia Umana."

"Bè insomma non li conosco, cioè di cosa parlano?"

"...Della vita, ecco, ti piace la vita?
Ti piace l'essere umano?
Scrivono di questo; niente di più, loro parlano di noi."


Sono dialoghi così che ti cambiano le giornate, quando hai la sensazione che l'emozione, l'impazienza, la necessità di comunicare qualche cosa abbiano il sopravvento su tutto e tutti, ed è come se un treno in corsa non possa che travolgerti.

Ovviamente il consiglio lo raccogli come si raccolgono le mani per abbeverarsi ad una fontana, ti infili nella libreria in cui inciampi per foga e ancora fuori equilibrio ti allunghi verso la Libraia, dai capelli corvino e sguardo alla nocciola.

"Carver Cattedrale!"
( magari un ciaobuongiorno non avrebbe guastato )

- gli occhi da nocciola le diventano giallo tempesta -

"Buon giorno, stai cercando un libro o una persona?"

"oh bè se non c'è prendo Saroyan La commedia Umana"
( sei un genio, no dico sul serio, praticamente per rimediare tra una brutta impressione e una pessima figura hai scelto la strada che porta direttamente al materiale organico di bovino adulto )

- non le è cambiato lo sguardo, sono cambiate le condizioni climatiche del negozio, inizia a fare freddo -

"Dunque...se stai cercando due autori e le loro opere sei nel posto giusto"

- le parole sono tese, ma il sorriso quello no, quello è indifferente, come plastica -

"Mmm, ecco io..."
( Taci...ti prego TACI! )

"Sfortunatamente per te non sono io la persona giusta per aiutarti"

- un ciuffo di capelli le si sposta in avanti, tagliandole il viso, come una linea di matita che segni una pagina più per lasciare una traccia che per esprimere un significato, riuscendoci. -

"No si, cioè, scusa, ciao ecco, buongiorno, mi chiedevo se avevate..."
( ci sai fare, non c'è dubbio )

"Cattedrale di Carver o La commedia Umana di Saroyan ho indovinato?"

- ha il dono della sospensione, come se le parole si sollevassero da terra e rimanessero li a mezz'aria, aspettando di essere afferrate. -

"Scusami, davvero, è che sono di corsa, non ho fatto caso alle parole, perdono!"
( la maleducazione non è una mancanza di fiato, è una mancanza di tatto...)

- si è già mossa, verso uno scaffale, poi un altro, due libri in mano, uno sguardo non più velato da nubi, ed un sorriso, questa volta umano. -

"Capisco, e mi dispiace per te"

"....?"
( si esatto quella faccia li, falla, ti riesce benissimo, è la stessa da 36 anni. Una smorfia senza suono con la giusta punteggiatura, da Oscar )

"Intendo che mi dispiace perché sei di corsa, i libri sono qui, ma non sai nulla di loro, ed è un peccato.
Sono 19,60€ vuoi una borsa?"

- Solleva un libro giallo, quasi a volermi ammonire per la fretta, la maleducazione, per tutto insomma.
Lo solleva davanti ai suoi occhi ad un braccio di distanza; è un libro non tanto più grande di uno degli smartphone di nuova generazione, poi lo appoggia sul bancone vi posa una mano sopra quasi a dover tenere giuramento e per la prima volta il suo sguardo mi colpisce non per il suo colore ma per la sua profondità. Sono quegli occhi che iniziano a parlarmi e non smetteranno più, finché morte non ci separi. -

" Vedi, William Saroyan era un ragazzo Armeno, nato in America in California, rimase presto orfano di padre e coi fratelli finì in orfanotrofio.
Rifiutò l'istruzione, quella scolastica, e si mantenne facendo lavori umili, dal fattorino allo strillone, la sua educazione fu la strada, la sua passione i libri che divorava nelle biblioteche durante il suo tempo libero.
Diventò un grande scrittore del '900 Americano e del neo-realismo, non per vocazione ma per auto-imposizione, poiché era convinto che lo sarebbe diventato. Ovviamente una vita tormentata non gli bastava quindi al successo si aggiunsero la passione per il gioco d'azzardo e l'alcoolismo, così lo stereotipo del grande scrittore fu completo.

La Commedia Umana è una moderna e succinta Odissea che non si sposta per mare ma su cavi adagiati sui fondali, che non è racchiusa in volumi e inchiostro ma in linee e punti che corrono veloci da un capo del mondo all'altro.

Ed è a questo capo del mondo esattamente ad Ithaca in California che il giovane Homer Macauley quattordicenne ma dall'aspetto più maturo, aspetta che il signor Grogan ricevuto e trascritto il messaggio all'ufficio telegrafico gli consegni la busta con l'indirizzo a cui portarlo; Homer inforca la bici e inizia a spingere sui pedali cercando di raggiungere nel minor tempo possibile la destinazione assegnatagli per consegnare quelle parole che arrivano da così lontano. Homer fa il turno serale, la città è un luogo sospeso nel tempo, sono gli anni della seconda guerra mondiale, la vita come la morte sono presenti ovunque, sia nelle buste che il giovane Homer deve consegnare sia nelle case dove famiglie intere aspettano, cercando di ingannare il tempo, notizie dei loro cari, dei loro figli, dei loro amati.
La Famiglia Macauley è una di queste, Marcus è partito per la guerra e a casa oltre alla madre e alla ragazza lascia i due fratelli, Homer appunto e Ulysses, un vispo tipetto di quattro anni, curioso e sfrontato, per niente intimorito dalle cose e dalle persone. Il padre è morto anni prima ma ha fatto in tempo a lasciarci in eredità una bella famiglia, unita e sincera.

È una Odissea moderna perché in un certo senso è un ritorno a casa, è l'attesa di un ritorno. È la vita che va avanti e che fa scoprire il mondo al piccolo Ulysses quanto i sentimenti contraddittori dell'età adulta a Homer. Quello che traspare dalle parole mai banali di questo romanzo, così ben scritto, morbido e avvolgente, è la sensazione che nonostante le belle giornate, le scoperte, i giochi dei ragazzi e i canti a messa, la vita del negoziante e dell'immigrato, del disperato come del vincente, si aspetti sempre l'inevitabile, la notizia.
Questa notizia in fondo è il quotidiano, sono gli eventi che non si fermano ad aspettare che sia sorto o meno il sole per accadere, in realtà semplicemente e talvolta crudelmente accadono.

Mentre leggerai questo romanzo ti accorgerai di quanto in fondo il tuo punto di vista sia quello di Ulysses, quasi lo scrittore voglia regalarti l'ingenuità e innocenza di tornare ad avere quattro anni, cosicchè sarai convinto di dover stare dovunque ci sia qualche cosa di interessante da vedere.

Ecco, il romanzo è più o meno tutto qui, quello che ti colpirà di più è la coerenza, sia narrativa che morale, William Saroyan è ovunque in questo scritto, e se mi concedi, e penso di meritarmeli ancora due minuti, voglio leggerti una parte che adoro e che in qualche modo ti riguarda:

Un essere umano, chiunque sia, lo considero amico. Il mio conflitto non è con lui, ma con quella parte sfortunata di lui che prima di tutto son costretto a distruggere in me stesso."

- le parole ora non erano solo da afferrare, erano scalini da salire per arrivare alla sua altezza -

"Ecco, penso di averne, di tempo intendo e tu?"
( grammaticamente orribile, ma emotivamente plausibile, t'apprezzo!)

"Dipende, Carver La Cattedrale!
 - e le scappa da ridere imitando l'enfasi della mia voce -
ti interessa sapere cosa racconta?"

( se te la giochi male giuro che ti abbandono, cazzo, lo giuro su queste parentesi )

"No, non mi interessa sapere cosa ma chi me lo sta raccontando..."

- Quel ciuffo tagliente sul viso con un gesto naturale quanto delicato lo sposta dietro l'orecchio.
Il suo sguardo è basso, quasi avesse trovato un tesoro in fondo a quelle copertine adagiate sul bancone.
Le labbra si muovono, forse un sorriso, un piccolo morso, e quegli occhi si alzano, sono nocciola, e non sono più uno sguardo ma un sapore, quello del domani. -


Recensione Sensoriale


Vista: I cavi sospesi dal finestrino di un treno in movimento


Olfatto: Torta di mele

Gusto: Sali Minerali

Tatto: Grasso per catene


Voglie Impulsive


Una Libreria

Capelli Color Corvino

Occhi Sapor Nocciola


Peso in Valigia: 212 Grammi

Investimento: 10€

Editore: Marcos y Marcos

A con ZETA di Hakan Günday

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Nell'alfabeto ci sono tutte le storie del mondo

alcune hanno un nome, se siamo fortunati due.



Oğuz Atay:
Leggere un libro spesso porta a guardare oltre la trama, i personaggi o lo stile narrativo; leggere un libro è porre attenzione ai dettagli di una storia, è entrare nelle parole di chi l'ha scritto e scovare la scintilla primordiale; la costante che ha messo al suo posto ogni singolo punto, paragrafo, personaggio, intreccio.

Ecco chi è Oğuz Atay in questo arguto romanzo di Hakan Gunday. 

A con Zeta in realtà parla brevemente di questo scrittore scomparso prematuramente nel 1977, fu il padre della narrativa Turca contemporanea, annegò il romanzo realista Turco in una pozza fatta di quotidiano, di complesse realtà individuali, raccontandone l'alienazione, il disagio, il conflitto con sé stessi e con le convenzioni sociali.

Ma per arrivare ad Oguz bisogna passarne tante di lettere dell'alfabeto, almeno cinque, che si moltiplicheranno allo specchio, per essere sempre le stesse ma di genere differente.

Ed è così che Derdâ poco più che bambina commette il suo primo crimine, o tuttalpiù è così che si sente, semplicemente colpevole. Il suo essere bambina finisce da li a poco, la sua innocenza si frantuma contro la rigidità delle tradizioni rurali, nonostante il chador nero che l'avvolge, la vita penetra attraverso l'unica cosa che le rimane scoperta: lo sguardo.

I suoi occhi di pece si poseranno su tutto, soprattutto sul male, sul dolore, provato ed inferto quasi in un contrappasso Dantesco dove Derdâ tra l'adolescenza e l'età adulta passerà dall'essere vittima di violenze sessuali ad utilizzare la violenza per indurre piacere.
Una Mistress dal fascino Orientale che recita in porno sado-maso, mentre pare aver chiesto indicazioni precise per la deriva, sia del corpo che dell'animo e dal sadismo al masochismo il passo è breve così come si può passare dalle caramelle ad una dose di eroina.
Il Sadomasochismo non è altro che un modo per capire la realtà delle cose.
La tossicodipendenza, la cura, l'amore che nasce, quello puro incontaminato di una madre acquisita, il riscatto e il sorriso.
Derdâ è un racconto, delicato nonostante le sue componenti più cupe, ironico nonostante la crudeltà e l'efferatezza dei gesti, dei momenti, delle persone; un racconto che a tratti sembra non veder mai sorgere il sole ma laddove la tenebra sembra più fitta è proprio il suo sguardo ostinato al futuro a regalarci speranza.

Ed è così che Derda (senza accento) poco più che bambino si incammina secchio in mano per guadagnare qualche spicciolo lavando le tombe al cimitero. Derda è analfabeta e più che lavorarci al cimitero ci vive, in una baracca che si regge grazie al muro di cinta dei campi elisi moderni; il padre in carcere, la madre morta; la vita di Derda è segnata, vivere di espedienti per sopravvivere è l'unica alternativa, perchè aspettare la paura è peggio della paura stessa.
Finisce per lavorare, oramai cresciuto troppo per impietosire le elemosine al cimitero, in una stamperia pirata ed è proprio qui che Derda si imbatte nell'incontro che gli cambierà la vita. 
Sono proprio due parole, che per un analfabeta non sono null'altro che disegni senza alcun significato, a riportare Derda al cimitero, alla sua infanzia e ad una tomba lavata e curata per anni su cui quei simboli senza significato ora sono gli stessi che tiene tra le mani, su una copertina di un libro;

ci siete arrivati sicuramente, ma ve lo dico lo stesso, quelle otto lettere potevano vestire una sola persona:
Oğuz Atay!

Derda (senza accento) è un racconto, delicato nonostante la sua irruenza, risoluto come il suo protagonista.
Derda scoperto quel nome, Oğuz Atay, imparerà a leggere e a scrivere, imparerà che per arrivare a trovare sé stesso e superare la sua alienazione, il suo disagio, dovrà farlo a colpi di pistola ed anni di carcere. Ucciderà il suo essere Kafkiano ( pur non avendo idea di cosa sia esserlo ) eliminerà da sé stesso l'insicurezza, la paura, la solitudine, l'assurdità e l'incomunicabilità. 

Farà tutto questo con una lettera, ricevendone un'altra in cambio.

Az in Turco significa poco ma nell'interminabile spazio che separa la A dalla Zeta ci sono tutte le parole che servono per far si che questo spazio si restringa quanto basta per portare due nomi ad essere uno solo.


Recensione Sensoriale


Vista: le vetrine di un Sexy-Shop a Soho


Olfatto: L'odore di pagine non ancora sfogliate

Gusto: Mandorla

Tatto: Stagnola


Voglie Impulsive


Imparare il Turco

Sentire il canto del Muezzin all'alba

Lottare per me stesso

Peso in Valigia: 503 Grammi

Investimento: 18€

Editore: Marcos y Marcos

IL PUZZLE DI DIO di Laura Costantini e Loredana Falcone

www.lostinatolettore.blogspot.it


Dio non può avere frammenti,

solo l'uomo ha il potere di spezzarsi.


Il ritardo con cui mi accingo a scrivere questa recensione è figlio, anzi no è Padre: nel senso che è autore di quelle che sono delle emozioni che conserverò per sempre. Ma questi discorsi esulano il contesto letterario e al fondo della recensione ne capirete l'origine.

Questo Romanzo è stato il mio primo e-book in assoluto, la goWare casa editrice digitale mi ha supportato nel #Progetto52 portando alla mia attenzione il lavoro di Laura Costantini e Loredana Falcone; un giallo scritto a quattro mani e probabilmente centinaia di ore di ricerca per quello che posso serenamente reputare un Thriller curato in ogni dettaglio, dalla scrittura alla caratterizzazione dei personaggi quanto alle nitide atmosfere dal sapore medio-orientale.

Due donne che scrivono una spy-story. È facile immaginare uomini abili e dal carattere ben delineato, è così è: Il colonnello Demedici ed il Maggiore Landi sono Romani, addestrati, efficienti e indubbiamente affascinanti. Sono militari, ma rivelano attraverso un dialogo in bilico sul filo dell'amicizia e del rispetto dei ruoli, la difficoltà di far trasparire i sentimenti a scapito dell etica professionale.

Donne che scrivono di donne.
La vera chiave di volta di questo mistero "digitale" è la grandezza delle due figure femminili che si muovono tra l'interlinea e l'immaginazione del lettore: Sumitra e Nesayem.
non sono "amiche", vengono da due parti del mondo distanti migliaia di chilometri, quello che le unisce è il fatto stesso di essere tessere di un puzzle, e che seppur consapevoli o meno della loro importanza in questo rompicapo, hanno dalla loro due storie incredibili ambientate in luoghi e tradizioni che vengono gradualmente svelati.
Posti come il Nepal o il deserto del Sahara, popolazioni sperdute nel tempo, i Berberi, una lingua che rischia l'estinzione così come il suo popolo, Roma, una caccia internazionale a tessere di pietra grandi quanto un tavolo da pranzo ed un Planisfero composto da 348 di queste ultime; un mosaico, un Puzzle di Dio che sembra giungere a noi direttamente dalle epoche preistoriche ma che custodisce un messaggio cupo e sinistro...quasi quanto la Bassa vercellese e i suoi scheletri nascosti in piscine di cemento.

In tutto questo, quasi non bastasse ci sono da aggiungere ancora un paio di elementi degni di nota, un agente Americano tendenzialmente sociopatico e sanguinario: Mister Liberty, e due all'apparenza felici innamorati Saro e Daniel che fanno del loro amore il perfetto rifugio da una vita di soprusi e intolleranza ma che nasconde qualche cosa di ben più premeditato e definitivo.

Nonostante la mole di informazioni e personaggi dove facilmente ci si sarebbe potuti perdere o creare un continuo e fastidioso rimbalzo tra le parti, è stata vincente l'attenta analisi e costruzione dei capitoli ed in questo il mio plauso va a chiunque abbia optato per una costruzione così organica e funzionale della storia rendendola piacevole e fruibile.

Il lavoro di ricerca sia storico che geografico hanno contribuito a trasformare un intreccio tutto sommato "semplice" in un impianto narrativo complesso e stratificato.

Forse in conclusione manca un po' di originalità ma il rischio di rovinare tutto in modo grossolano e incoerente ha giustamente posto un freno alla fantasia privilegiando la storia, che come sempre è la sola, in questi casi, a contare.


Recensione Sensoriale




Olfatto: Capelli bagnati

Gusto: Cumino

Tatto: Silicio

Voglie Impulsive


Rivincere il Derby della Mole

Comprarmi un Kindle ( lo ammetto, ho odiato l'Ipad per leggere l'E-book per via dei riflessi sullo schermo e delle ditate che vanno a "sporcare" la lettura e ad affaticare gli occhi )

Sprofondare i piedi nella sabbia bollente


Peso in Valigia: 613 Grammi ( Peso dell Ipad Second Generation )

Investimento: 4.99€ 

Editore: GoWare